Breve storia di Colmegna

Colmegna, fin dalle sue origini, fu paese rivierasco, ma il suo nome deriva con ogni probabilità dal monte Colmegnino, presso Dumenza. Dalle sue falde nasce appunto il Colmegnino che sfocia a Colmegna, l’abitato a cui ha dato il nome.

La chiesa

La chiesa

La prima citazione rinvenuta, riferita alla chiesa di Colmegna, è fornita dal Manuale Ambrosianum  olim in usm canonicae vallis Travaliae, compilato intorno all’anno 1150, dove si fa riferimento ad una dedicatio ecclesiae Sancti Salvatoris del Colmenia, la cui festa della dedicazione cadeva il 25 novembre, data in cui ancor oggi si celebra la festa patronale di S. Caterina. Bisognerà arrivare alla visita pastorale di S. Carlo, il 5 luglio 1574, per avere ulteriori notizie sulla chiesa. Sappiamo con sicurezza che già da allora era dedicata a S. Caterina d’Alessandria.  All’esterno si trovava il cimitero, non recintato. Il paese contava 12 focolari, con una popolazione di circa 60 persone. La cura delle anime era affidata ad un certo sacerdote Giacomo della Valle. La chiesa dipendeva da Agra. Ad attestare la sua antichità, sempre secondo le relazioni delle visite pastorali, stava il fatto che la parte absidale era dipinta con figure corrose dal tempo e dall’umidità.
Il fatto di maggior rilievo è costituito dall’affermazione del card. Giuseppe Pozzobonelli che, visitando la chiesa nel 1748, rilevò la presenza di un quadro di pregevole fattura, opera del Procaccini. In esso è rappresentata la Vergine Maria e la Santa titolare, cioè Caterina d’Alessandria.  E’ però difficile ipotizzare di quale Procaccini si tratti: forse si tratta di Giulio Cesare, autore di un quadro analogo, rappresentante le mistiche nozze di S. Caterina.
Secondo un documento che risale al 1841 e che  raccoglie particolari interessanti della storia del paese, la chiesa di S. Caterina dovrebbe essere stata una delle prime parrocchiali di tutta la valle, più antica della stessa chiesa di S. Eusebio di Agra, della quale in seguito Colmegna divenne subalterna. Nel 1738 la chiesa fu restaurata e forse ampliata.  L’attuale assetto risale però intorno al 1860, quando fu costruito anche il campanile. Era allora cappellano don Giacinto Corti che divenne in seguito prevosto di Brezzo di Bedero dove è sepolto. Nel 1936 la cappellania di Colmegna passò sotto la giurisdizione della parrocchia di S. Stefano di Maccagno Inferiore, per volontà del card. Schuster. Solo nel 1961 Colmegna divenne parrocchia autonoma.  

Il Testamento Lanfranchi

 Il nobile Carlo Federico Lanfranchi era probabilmente approdato a Colmegna da Milano durante una delle ricorrenti pestilenze del ‘600. Qui aveva trovato ospitalità, grande accoglienza e soprattutto aveva evitato il contagio. Fu così che il 3 gennaio 1682 rogò un testamento nel quale stabiliva di voler assicurare assistenza religiosa ai Colmegnesi con la presenza costante di un cappellano, il quale era tenuto a celebrare quotidianamente la messa e ad insegnare la dottrina cristiana. Gli impose inoltre l’obbligo della residenza e a tale scopo lasciò anche la sua casa a Colmegna, l’attuale casa parrocchiale, con forno annesso. Di rilevo inoltre la donazione di calici, suppellettili, paramenti religiosi e, soprattutto, di una serie di quadri preziosi tra i quali lo Sposalizio di S. Caterina di cui abbiamo già avuto modo di parlare.

Il mulino

Vecchio mulino

Si ha ragione di credere che a Colmegna esistessero due mulini, quello vecchio e quello nuovo. I toponimi ed i documenti lo confermano.  Esisteva pure un torchio. I mulini erano alimentati da una roggia di derivazione dal Colmegnino, che in seguito servì anche alla filanda. Lo stesso canale conduceva da oltre un secolo le acque del Colmegnino verso una segheria che venne demolita nel 1881, forse per far posto ai cantieri destinati alla costruzione della ferrovia del Gottardo. Il mulino vecchio era stato costruito con ogni probabilità prima del settecento. In epoca più recente il mulino divenne proprietà di un personaggio singolare, il Mena. Era questo il soprannome che gli era stato affibbiato, forse come diminutivo del nome proprio, ma anche, in senso traslato, come trasparente allusione a quel suo continuo girovagare in compagnia del suo asino che menava di qua e d là per trasportare i pesanti carichi di farina, scendendo dalla nativa Bonga, attraverso un ripido sentiero che sbucava nei pressi del fiume Colmegnino.

Villa Cicogna

Villa Cicogna oggi ‘villa Porta’

Un singolare personaggio aveva acquistato all’inizio dell’800 la villa che attualmente ospita il Camin Hotel Colmegna. Si trattava di Enrico Wynne, un capitano delle guardie della regina Vittoria. Ignoriamo quali fossero stati i motivi del suo soggiorno a Colmegna. La tradizione popolare dice che per scacciare la malinconia avesse il vizio di alzare un po’ troppo il gomito e che amasse degustare pregevole whisky inglese. Si racconta che, una volta, in pieno inverno, mentre veniva trasportato in barca da Luino, giunto in prossimità della sua villa, si gettasse nelle gelide acque del lago per placare i bollori provocati da una bevuta di troppo. Forse in seguito ad un malanno contratto in quella circostanza, il capitano Wynne passò a miglior vita. Di lui rimane la croce tombale nel cimitero di Colmegna ed una lapide nella chiesa parrocchiale dove si parla di un lascito per la celebrazione di una messa di suffragio nel giorno di S. Teresa.
In seguito la villa divenne proprietà dei conti Cicogna. Giuseppe Cicogna, che morì nel 1906,  fu un magnanimo benefattore del paese e contribuì con la somma di £ 2000 all’edificazione dell’Asilo. Un grande ricordo lasciò anche la contessa marchesa Leopoldina Giuseppina di Montecuccoli, moglie del  conte Cicogna, che fece parte della commissione di vigilanza  della nuova scuola di Colmegna. La villa fu fatta costruire con ogni probabilità tra la fine del settecento e l’inizio dell’Ottocento da Leopoldo Casnedi, un emigrante che aveva fatto fortuna sulla Riviera Ligure e che dotò il parco di essenze rare ancor oggi visibili. L’ala adiacente fu invece fatta erigere dai conti Cicogna per ospitarvi la servitù e le carrozze.

Il Comune di Colmegna ed il Comunello della Casneda

Colmegna nei tempi andati era comune a sé stante, con un proprio console. Fatto singolare per quei tempi , come si ricava da un documento del 1629, rogato dal notaio Zaccheo, nell’elenco dei consoli, chiamati ogni sei mesi ad amministrare il comune, appaiono anche i nomi di alcune donne. Probabilmente in un paese dove molti capi famiglia erano costretti ad emigrare in cerca di lavoro, le cariche consolari dovevano essere necessariamente eserciate dalle donne in una sorta di matriarcato di necessità che comunque costituisce una forma di emancipazione elitaria rispetto al maschilismo imperante. Le riunioni dell’assemblea vicinale si tenevano nella pubblica piazza, convocata al suono delle campane, in località Alli Santi. Ma in contrapposizione col comune di Colmegna, che nel ‘700 contava 12 fuochi per un totale di 58 anime, si era costituito il comunello di Casneda con 3 fuochi e complessive 12 anime. I Casneda dovevano già da tempo costituire una solida famiglia di modesti, ma influenti possidenti. I fratelli Casneda si lagnavano del fatto che, oltre ad aver regolarmente corrisposto alla Regia Camera i tributi nella proporzione loro spettante, avevano dovuto in più farsi carico di ben 1264 lire, 15 soldi e 9 denari che costituivano il debito fiscale accumulato dagli abitanti di Colmegna. Da qui la richiesta di separazione degli interessi delle due parti in causa.

Casa Casneda

Casa Casneda

E’ una tipica costruzione cinquecentesca, con androni scanditi da eleganti colonne doriche. Fu sede della potente famiglia dei Casnedi, il cui nome deriva forse dal collettivo castenetum, con riferimento al castagno, un albero che ebbe un’importanza fondamentale come fonte di nutrimento nella povera economia di quei luoghi. Si sa per certo comunque che fin dal XVI secolo la località era abitata dalla famiglia Casnedi. Un Francesco Maria Casnedi viene ricordato come questore di Milano nel 1641, ma la famiglia vanta origini ben più antiche che risalgono al 1261. In Casneda, per la sua felice posizione e le condizioni climatiche favorevoli,  venivano coltivati la vite e l’ulivo, come attesta un documento del notaio Zaccheo che rogava in Colmegna. In questa casa soggiornò anche il pittore Raffaele Casnedi (1822 -1892). Il ricordo di questo soggiorno è testimoniato da un dipinto, lasciato sulla parete interna dell’androne al primo piano, raffigurante una veduta panoramica del Lago Maggiore, firmato dallo stesso autore. Altre quattro tele attestano la sua presenza a Colmegna: una veduta del promontorio a ponente, con il porto, villa Cicogna, la Casneda e la Pezza, il loggiato di Casa Casneda, un panorama del golfo di Luino e il Cassinone”. Quest’ultima costruzione che si erge accanto a Casa Casneda, come attesta un documento, in tempi remoti, fu forse stallaggio e scuderia di soldati, acquartierati in loco e provenienti da diverse nazioni. Quali le ragioni della loro presenza? Un tentativo di porre rimedio al persistente fenomeno del brigantaggio, che fin dal 1577 infestava le nostre zone? Sta di fatto che la popolazione locale mal tollerava la presenza delle soldatesche: su di essa, infatti, incombeva l’obbligo del loro mantenimento.
In Casneda, in tempi recenti, anche lo scrittore Piero Chiara acquistò un rustico con vista lago per poter trascorrere in un’oasi di pace il suo tempo libero ed attingere alla fonti inesauribili della sua ispirazione.

Dicitur

Si dice che quando S. Carlo, reduce dalla visita pastorale nella parrocchia di Agra, si trovò a passare per un sentiero impervio in mezzo ad una fitta boscaglia, stanco per il lungo cammino, si sedette e chiese un sorso d’acqua per ristorarsi. Le scorte però erano finite  e nelle vicinanze gli inservienti al suo seguito non trovarono neppure una sorgente. Il santo allora stese la mano e dalla viva roccia scaturì una polla d’acqua freschissima. Nacque così la sorgente del Bagnaré, che fino a qualche anno fa forniva acqua di prima qualità alla frazione Torretta.
Durante le ricorrenti epidemie di peste, l’unica difesa era rappresentata dall’allontanamento dei soggetti infetti. Un lazzaretto pare fosse collocato in località Ouvré, dove sorgeva un’edicola sacra. Poco lontano sono ancora visibili i resti di una cappelletta molto antica, forse una chiesetta. Colmegna, infatti, secondo il De Vit, si smembrò e si spostò, in fasi diverse verso la montagna in cerca di pascoli: ne nacque la comunità di Agra. Presso questa primitiva cappella, la tradizione orale afferma che nei campi attigui si trovassero resti di ossa umane. Salendo si trova anche la località Corone con degli edifici molto interessanti, un villaggio in piena regola, dove forse erano confinati gli appestati che successivamente venivano sepolti  su un’altura detta Mott da Cros, dove si eleva una croce che ricorda la presenza di un cimitero ancor oggi contrassegnato da un muro di cinta.

Casa Rachelli

Ingresso di Casa Rachelli

La casa Rachelli, ora Casa Mauri, nel cuore del vecchio borgo, un tempo assai lontano, pare fosse sede di un convento che ospitava frati provenienti da Parigi. La struttura primordiale del cortile, la cui pavimentazione in acciottolato disegna una grande meridiana e dei locali interni potrebbe accreditare questa attribuzione. L’arco d’ingresso al cortile, chiuso da un antico portone, reca la data 1760. E’ ancora visibile lo stemma di Casa Rachelli, sotto il quale appare la data “8 maggio 1839” .Va ricordato che Livia Rachelli fu la prima maestra del paese e collaborò presso l’Accademia di Brera con il pittore Raffaele Casnedi.

Gli abitanti di Colmegna furono soprannominati ratt o ratuni. Infatti le chiatte, che trasportavano il marmo di Condoglia per il Duomo di Milano, talvolta facevano scalo a Colmegna per caricarvi sabbia e legname. Il percorso, attraverso una rete di canali, aveva come meta l’attuale località Laghetto, in prossimità della “Ca’ Granda”, oggi sede dell’Università Statale. Durante lo scarico del materiale edilizio, sulle imbarcazioni venivano stanati grossi topi di fogna che si riteneva provenissero dalle spiagge di Colmegna. Da qui appunto l’appellativo di ratt de Culmegna.

La scuola

La prima scuola fu aperta nella casa coadiutorale nel 1861, ma nel 1882 pare venisse soppressa. I bambini di Colmegna dovevano recarsi quotidianamente ad Agra per frequentare le lezioni. Vibrate furono le rimostranze dei rappresentanti di Colmegna nel consiglio comunale di Agra e finalmente nel 1883 la scuola riaprì i battenti. Il Consiglio Comunale conferì l’incarico di maestra a Virginia Passera per uno stipendio annuo di £ 333. Sopraintendente per l’anno scolastico 1883/84 fu nominato il conte Giuseppe Cicogna e l’anno successivo il prof. Giovanni Passera. Dopo una lunga malattia che l’avrebbe condotta morte, Virginia Passera lasciò il campo a Livia Rachelli che aveva aperto presso la propria abitazione il primo asilo del paese. I locali che ospitavano la scuola erano però troppo angusti per i 60 bambini che la frequentavano. In seguito alla costruzione dell’edificio destinato ad ospitare l’asilo, la scuola vi trovò un’adeguata sede. Dal 1900/1901 la scuola, oltre che l’Asilo, venne affidata alle suore del Pio Istituto Maria S.S. Consolatrice ed  in seguito alle suore preziosine.

L’asilo

Asilo

Il primo asilo fu aperto presso l’abitazione della signora Livia Rachelli nel 1895. Quanto prima venne costruito un edificio idoneo ad ospitare sia l’asilo che la scuola elementare. Il terreno venne offerto dal rag. Francesco Cantù. La prima pietra fu posata il 4 febbraio 1899. Nel giro di poco tempo, grazie alle oblazioni di privati, di villeggianti, di emigranti e di manodopera volontaria, l’opera fu portata a compimento. Nel Novembre 1900 le religiose dell’Istituto S. Maria Consolatrice di Milano iniziarono la loro missione. L’asilo era frequentato da più di 40 bambini. Successivamente l’Asilo ottenne il riconoscimento di ente morale. Nel 1906, il conte Cicogna, presidente emerito e fondatore dell’Asilo, morendo lasciò la ragguardevole somma di £ 2000. L’intitolazione ENTE Morale Franco- Giuseppe accomuna nel ricordo i due maggiori benefattori: il conte Giuseppe Cicogna ed il rag. Francesco Cantù. L’asilo operò ininterrottamente fino al 1944, quando, a causa delle ristrettezze finanziarie, fu costretto ad interrompere la propria attività. Fu riaperto nel 1950, affidato ad un nuovo ordine di suore: le ancelle del Sacro Cuore di Gesù di Bologna. Nel 1957, con la partenza delle suore, l’asilo fu affidato a personale laico. Dopo molto vicende, con alti e bassi, dovuti alla mancanza di utenti, attualmente l’edificio, radicalmente rinnovato ospita LA CASA FAMIGLIA,  una comunità alloggio per minori in gravi difficoltà familiari.

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La filanda

Ex filanda

Fu aperta verso la fine del secolo XIX e diede lavoro a molte persone. Fu gestita da Edoardo Finetti, ed in seguito da Giacomo Butti. Tra gli affittuari ricordiamo anche Tullio Battaglia di Luino. Dopo il 1931 il fabbricato fu acquistato da Carlo Gilbert, un imprenditore francese, la cui famiglia aveva impiantato uno stabilimento di torcitura a Stivigliano. A Gilbert subentrò nel 1943 la ditta Crespofil di Vasco Pinzan ed in seguito Ambrogio Lattuada che per anni la gestì personalmente con grande dedizione. La filanda era collegata all’antica roggia da cui era azionata una turbina che metteva in moto i torcitoi attraverso un sistema di alberi e pulegge, consentendo un notevole risparmio energetico.

Ospiti illustri

Morte del generale Cantore di Italo Cenni

A Colmegna, luogo privilegiato di villeggiatura, chiamata La Piccola San Remo del lago Maggiore, approdarono molti ospiti illustri che in alcuni casi vi abitarono stabilmente. Al di là del già ricordato Raffaele Casnedi, alla Torretta di Colmegna fu ospite abituale il pittore e storico Quinto Cenni che ebbe rapporti privilegiati con le personalità più illustri del Regno d’Italia. A lui la città di Milano dedicò anche una via. Non meno prestigiosa fu la figura del figlio lui pure pittore, che riposa nel cimitero di Colmegna e che visse a Colmegna a partire dall’immediato dopoguerra. Miniaturista insigne e scrittrice fu Elda Cenni, figlia di Quinto, che fu apprezzata perfino dai sovrani di Casa Savoia per il suo talento artistico.  Durante l’estate trascorreva mesi alla Torretta anche il pittore Angelo Cantù, ospite della sorella Maria. Egli riscosse grandi riconoscimenti in Brasile dove divenne apprezzato pittore di corte. Si distinse particolarmente nella ritrattistica dove raggiunse vertici altissimi. Nel cimitero di Colmegna riposa il pittore Pino Cantù, che fu insegnante presso le scuole cittadine  e che ricevette importanti riconoscimenti dalla critica tanto da esser inserito nel prestigioso catalogo Bolaffi. A questi artisti l’Amministrazione Comunale dovrebbe doverosamente dedicare alcune vie del paese.

Villa carissimi

Villa Carissimi

E’ stata costruita tra il 1907 ed il 1908 su progetto dell’architetto Vincenzo Morandi. Lo stile è decisamente Liberty.  Si eleva sopra un massiccio basamento. Sono evidenti le poderose arcate ribassate. Nella parte centrale più alta si apre una finestra tripartita di foggia vagamente ellittica. All’incontro con le finestre si aprono riquadri con l’impronta di una foglia o di un fiore nel cemento. I parapetti dei balconi, arcuati nel cemento, accolgono ondulate ringhiere. Nervose linee verticali nascono dalle modanature delle finestre del piano nobile o scaturiscono dai mascheroni per fondersi con le mensole di legno e ferro a sostegno della gronda.

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