La vera storia dei garibaldini a Colmegna

Garibaldini a Colmegna per i 150 anni dalla unita’ d’Italia

LA TRADIZIONE ORALE DI COLMEGNA

I feriti delle truppe garibaldine che avevano combattuto il 15 agosto 1848 a Luino contro gli Austriaci sarebbero stati trasportati in Pian de Bonga.
Tutti furono mobilitati, comprese le donne di Colmegna che, al lume di candela, si radunarono per parecchie sere a preparare le bende per tamponare le ferite, utilizzando la tela di vecchie lenzuola.
Precorsero in tal modo l’intervento della nobil donna Laura Solera Mantegazza che successivamente li trasportò in salvo nella sua villa “La Sabioncella” di Cannero.
Non è improbabile pertanto che i feriti siano stati prelevati da Colmegna, località più fuori mano e meno esposta ad eventuali attacchi delle truppe austriache.
Il 25 Agosto 1848, nasce Antonio Passera.
I Garibaldini, alle cui imprese anche i Colmegnesi avevano dato il loro aiuto, si erano appena ritirati.
La notizia del ritorno degli Austriaci si diffuse con la rapidità di un baleno, suscitando un comprensibile senso di timore per le non improbabili rappresaglie di cui sarebbe stata oggetto la popolazione locale.
Vi fu un fuggi fuggi generale verso i cascinali e la zona boschiva tra Colmegna e Agra in attesa che la rabbia dei nuovi venuti si stemperasse.
In paese rimase soltanto la puerpera Amalia Belloni, col bambino appena nato, in compagnia di una intrepida levatrice e del cappellano.

LA STORIA, QUELLA VERA

Il 6 agosto, con il ritorno degli Austriaci a Milano, Laura e Paolo abbandonano la città per raggiungere gli altri figli a Cannero, sulla sponda piemontese del lago Maggiore, dove aveva una villa, La Sabbioncella, soggiorno estivo della famiglia.
Pochi giorni dopo, il 15 agosto, a Luino, sulla sponda opposta del lago, avvenne uno scontro cruento tra i soldati austriaci e un gruppo di patrioti che cercavano di raggiungere la Svizzera, capitanati da Giuseppe Garibaldi.
Restano feriti 32 soldati, parte austriaci e parte italiani. Dal futuro Eroe dei Due Mondi arrivò decisa una signora – Laura – che gli propose di trasportare i feriti a Cannero, a casa sua, dove avrebbero trovato cure adeguate.
Nasce subito tra i due una robusta simpatia che non verrà mai meno.
Laura, esule in Piemonte, è ormai una patriota a tempo pieno.
Ecco come la descrisse lo stesso Garibaldi in una lettera del 1873, in morte della nobildonna:

Un giorno sulla sponda orientale del Verbano successe una pugna.
Erano figli della libertà italiana, alle mani coi soldati dell’Austria.
Nel forte delle fucilate, appariva spinta da sei robusti rematori una barca dalla sponda opposta.
Una donna in piedi a poppa aveva l’aspetto di una visione.
La bellissima testa sembrava adorna dell’aureola che cinge i predestinati.
esclamò la coraggiosa”.

 

Lo storico Leopoldo Giampaolo nella

STORIA BREVE DI MACCAGNO

ricorda che un certo Giovanni Cattaneo , notaio a Maccagno, ed un certo Zanini Giuseppe Gaspare, fabbricante di cappelli in Maccagno, entrambi accaniti mazziniani, alle soglie del 1848, diedero aiuto ad un comitato insurrezionale con a capo Achille Longhi di Germignaga.
Erano un gruppo di patrioti che si prefiggevano di far insorgere al momento opportuno la zona lombarda del Verbano.
Alla notizia dell’insurrezione di Milano e della sommossa di Varese, il Longhi e il Cattaneo passarono all’azione.
La sera del 19 marzo il Longhi accese un gran falò sulla riva del lago di fronte all’albergo della Beccaccia di Luino per avvertire le popolazioni rivierasche che stavano maturando nuovi eventi.
Il giorno successivo il Longhi decise di far prigioniera la guarnigione austriaca del borgo.
Mandò quindi il Cattaneo a Maccagno a racimolare i patrioti.
Il Commissario Distrettuale e i gendarmi trassero però in arresto il Cattaneo.
I patrioti luinesi tumultuarono e misero alle strette il commissario distrettuale del borgo e lo costrinseroa scrivere una lettera al collega di Maccagno per la liberazione del Cattaneo.
Lo stesso Longhi, insieme ad altri patrioti, si diresse a Maccagno con la missiva.
A Colmegna, un abitante del luogo gli consegnò una lettera di un certo Zaccheo residente in Ticino, da tempo in rapporto con i patrioti luinesi.
In essa si dava notizia dell’immediato arrivo via lago di una sessantina di carabinieri ticinesi.
Il Longhi dispose che metà dovessero sbarcare al Ronco delle Monache e l’altra metà a Colmegna in attesa di ordini.
Affidava pertanto la missione di portare a termine l’incarico ad un certo Gennaro con un gruppetto di patrioti.
Il Gennaro (forse di Colmegna) consegnava la lettera del collega luinese e otteneva subito la liberazione del Cattaneo che veniva accompagnato trionfalmente a Luino. Il battello dei carabinieri ticinesi però non si fermò al Ronco delle Monache, ma all’altezzadi Colmegna.
Fu mandata una barca a riva con una nuova lettera dello Zaccheo.
In essa si diceva che non potevano fermarsi a Luino perché avevano ricevuto l’ordine di sbarcare a Intra; eventualmente sarebbero accorsi in un secondo momento.
A Colmegna c’erano il Longhi e il Cattaneo: era il giorno 20 marzo.
Dopo la sconfitta di Garibaldi, il 25 agosto, una grossa colonna di austriaci al comando del maggiore Haller fu inviata a Luino. Occupato il borgo, gli austriaci mandarono un distaccamento verso Maccagno. Sorpresi però nel buio della notte, si fermarono a Colmegna, suscitando un comprensibile allarme da parte della popolazione che evidentemente aveva favorito i patrioti. Non si può quindi negare una certa complicità dei colmegnesi nel sostenere i fautori della rivolta contro gli austriaci e nell’aiutare l’Eroe dei due mondi.

LAURA SOLERA MANTEGAZZA

(Milano, 15 gennaio 1813 – Cannero, 15 settembre 1873) Laura Solera nasce a Milano il 15 gennaio 1813 da una ricca famiglia borghese originaria di Luino; il padre Cristoforo è un affermato avvocato, energico e iroso, di chiari sentimenti anti-austriaci, sentimenti che gli costeranno ben presto l’esilio in Svizzera.
Nel 1829, a soli sedici anni, orfana di madre e con il padre lontano, Laura va in sposa a Giovanni Battista Mantegazza, membro di una dinastia di imprenditori tessili monzesi.La giovane sposa si trasferisce a Monza, nel bel palazzo in cui il marito vive insieme al padre e alla vecchia nonna.Nel 1831 nasce il primo figlio, Paolo (diventerà illustre medico e scienziato), tre anni dopo una bimba, Costanza. Per poter meglio curare l’educazione dei figli, nel 1836 la famiglia Mantegazza si trasferisce a Milano dove vede la luce il terzogenito Emilio (1838).
Così come il padre, anche Laura nutre profondi sentimenti anti-austriaci che non tarderà molto ad esternare.
Durante le Cinque giornate di Milano (18-22 marzo 1848) si distingue per dedizione e coraggio organizzando un servizio di lettighe per il trasporto dei patrioti feriti, incarico che in seguito gli verrà confermato ufficialmente dal Governo Provvisorio della Lombardia.
Conclusasi questa breve parentesi di “indipendenza”, durata poco più di 130 giorni, il 6 di agosto – mentre Radetzky con le sue truppe rientra da vincitore a Milano – Laura insieme alla famiglia fugge in Piemonte, rifugiandosi a Cannero, a “La Sabbioncella”, nella bella villa ereditata dal padre.
Passano pochi giorni e anche qui si distingue per l’esuberante spirito patriottico che, come sempre, è unito ad un altrettanto forte sentimento umanitario.
Il 15 agosto sulla sponda opposta del lago Maggiore i volontari garibaldini sono impegnati in un ultimo scontro con gli austriaci.
Immediatamente, insieme al figlio Paolo, si fa traghettare a Luino dove incontra a palazzo Crivelli-Serbelloni Garibaldi: «Sono Laura Solera Mantegazza – dice rivolgendosi al generale – ho casa sulla sponda piemontese, a Cannero.
Mi prenderò cura dei vostri feriti, se vorrete consegnarmeli». I soldati feriti sono 32, di cui 19 austriaci.
A braccia vengono caricati sulle barche e trasportati a “La Sabbioncella”, ove rimarranno fino a completa guarigione.
In quello scorcio d’estate del ’48 la Mantegazza più volte si reca sulla sponda lombarda per portare in salvo patrioti e disertori braccati dalla polizia austriaca e in quello stesso periodo, instancabile, nonostante il gracile fisico, gira tutti i paesi del novarese per raccogliere fondi in sostegno di Venezia, la cui difesa è affidata a suo zio, Francesco Solera.
A Luino incontra per la prima volta Garibaldi, rimanendone totalmente “affascinata”, apprezzando in lui le doti militari ed umane.
In suo favore si adopera per raccogliere i fondi necessari a finanziare la spedizione dei Mille e le successive imprese militari.
Nel 1862 lo ospita nella villa di Cannero («voi foste così buono da santificare colla vostra presenza la mia povera casa») e in quello stesso anno, quando il condottiero ferito in Aspromonte è rinchiuso nel forte di Varignano (La Spezia), subito accorre in suo aiuto rimanendogli vicino durante la detenzione dal 5 settembre al 17 novembre. L’opera meritoria della Mantegazza non si esaurisce alle sole iniziative patriottiche, ma spazia anche e soprattutto nel sociale.
Fu infatti una benefattrice instancabile.
Con i soldi raccolti per la difesa di Venezia – che nel frattempo era caduta, rendendo vana la colletta – fondò a Milano, con l’autorizzazione del governo austriaco, il “Ricovero per i bambini lattanti” (1850): istituzione laica finalizzata a mantenere e accudire temporaneamente i bambini poveri.
In capo a dieci anni i ricoveri in città diventeranno quattro e uno sarà aperto anche a Monza.
Nel 1862, usando sempre il collaudato metodo della raccolta fondi tra le ricche donne milanesi – e tra queste ricordiamo Ismenia Sormani Castelli – dà vita alla Società di Mutuo Soccorso per le operaie.
Con ugual entusiasmo e spirito di praticità si adopera a favore dell’istruzione per donne adulte, crea scuole di alfabetizzazione per ragazze e il 21 novembre 1870 inaugura a Milano la Scuola Professionale Femminile, la prima in Italia. Nel 1872 si ritira definitivamente nella villa di Cannero, che già abitava assiduamente dal 1867, anno in cui morì il marito, dedicandosi al giardinaggio e alla lettura.
Il 15 settembre 1873, a soli sessant’anni, muore. Nella sua famiglia si notano personalità di spicco nell’ambito della cultura del milanese, come il cugino Temistocle, autore dei cori verdiani del “Va pensiero” e del “O signore che dal tetto natio”, o lo zio Antonio, compagno di carcere del Pellico allo Spielberg, ed infine Francesco, zio anche lui, che fu ministro della guerra a Venezia nel 1848

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