Rompicapo

 

            UN ENIGMATICO ROMPICAPO

«Maledizione! mi si è staccato un bottone dalla giacca del mio tailleur, proprio adesso che sto per uscire e sono anche in ritardo!».
Sbuffava l’Evelina come una vecchia locomotiva a carbone.
 Per fortuna che sull’uscio di casa c’era ancora la Matilde, belle e pronta col velo nero della festa sulle spalle per correre a soddisfare il sacrosanto precetto domenicale.
Quel grido di dolore non la lasciò insensibile, ma non poté trattenersi da un’esternazione di puro buon senso:
«Con tutti i vestiti che hai nell’armadio dovevi proprio scegliere questo, Evelina?»
«Ma se l’ho comprato apposta per il mio primo invito dai genitori di Carlo?
 Questi bottoni li attaccano proprio con lo sputo».
Era evidente che toccava alla Matilde porvi rimedio: «Possibile che a vent’anni suonati tu non sia ancora capace di attaccarti un bottone?
Cosa farai quando sarai sposata?
 Mica potrà esserci tua madre alle calcagna, sempre pronta a fare la serva!»
«Bella la mia mammotta, pensavi di poterti liberare di me, invece thiè, mi avrai sempre tra i piedi.
Non per niente ho scelto di venire ad abitare a un tiro di schioppo da casa nostra!» 
 Matilde finse di arrabbiarsi, ma in cuor suo si sentiva lusingata.
 Le rare esternazioni d’affetto della figlia le facevano bene.
 Ma era poi affetto o un raffinato senso di opportunismo, perché si sa, i figli hanno sempre bisogno dei genitori e non è facile per loro diventare adulti.
«Portami almeno il cestino da lavoro, Evelina, e guarda bene se trovi i miei occhiali.
Non ce la faccio più ad infilare l’ago ad occhio nudo».
Matilde fremeva. 
Il campanile scandiva gli ultimi rintocchi per la messa delle dieci e non voleva arrivare in ritardo.
Finalmente, tra rimbrotti e imprecazioni, l’opera fu compiuta.
Discese veloce le scale la Matilde e si avviò con passo spedito verso la chiesa
La strada principale, un nome altisonante: via Roma.
Il rustico acciottolato avrebbe fatto presumere più modeste pretese.
Ai lati, una catena di case basse, addossate l’una accanto all’altra, allo sbocco, la piazza, una perfetta ellisse, sorvegliata da severi e annosi ippocastani.
E più in là la chiesa che troneggiava sopra un podio, con il campanile che le svettava accanto, simile ad una matrona, pronta ad impartire ordini alle proprie ancelle.
Le fronde degli alberi creavano una luce artefatta, un riverbero ondeggiante sulla facciata, dove si alternavano, ad ogni alito di brezza, fasce di luce e ombra.
A pochi passi dal sagrato, Matilde si fermò.
 Che cosa diavolo c’era scritto sul cartello appeso sulla porta della chiesa?
Cercò affannosamente nella borsetta gli occhiali.
Miope come una talpa era da anni costretta a farne buon uso per evitare imbarazzanti gaffe.
 S’era però accorta di averli dimenticati.
Da un po’ di tempo, infatti, doveva barcamenarsi tra quelli per vedere da vicino e quelli da lontano.
Strizzò gli occhi, ma non ci cavò un ragno dal buco.
 In quel momento sopraggiunse la Gilda, col suo passo claudicante da cinque e tre otto.
 Anche lei in ritardo.
Come al solito del resto.
Si consolò la Matilde, ma sperò inutilmente di trovare una valida alleata.
La Gilda, invece, oltre che sorda, aveva avuto un distacco di retina che le impediva perfino di riconoscere le persone che incontrava.
 Figurarsi se sarebbe stata in grado di decifrare una scritta a dir poco incomprensibile.
Lei pure fu comunque presa nel vortice di quell’imprevedibile gara di destrezza interpretativa: un vero e proprio messaggio criptato, almeno così la pensava la Matilde.
Oh bella, che cosa avrà mai scritto il curato su quel cartello?
Venite presto? Forse.
Quante volte la Matilde si era sentita lo sguardo di rimprovero sulla pelle, quando aveva avuto la disavventura di entrare in chiesa a predica già iniziata.
 E non era capitato solo una volta. 
Le donne di casa, si sa, prima di uscire, la domenica, hanno mille cose a cui pensare.
La messa diventa solo un gravoso fardello, ma non ci si può sottrarre: peccato mortale. Mor-ta-le: scandiva mentalmente la Matilde, ossessionata dagli anatemi lanciati dal curato dal pulpito e ribaditi fin da quando era bambina dalle buone suore del catechismo.
Non se la sarebbe sentita ora di aprire la porta, che sembrava cigolare a bella posta per cogliere in flagrante i malcapitati ritardatari.
Che ci avesse almeno messo un po’ d’olio quel tontolone d’un sacrestano che se ne stava sempre lì col naso all’insù a fiutare l’aria, come un cane da preda.
E, tac, come sentiva quel lamentoso cigolio, girava la testa di 180° e con lui le pie beghine, assidue frequentatrici della chiesa solo per tagliare i panni addosso al prossimo.
Venite presto, poteva starci bene.
Nel qual caso sarebbe andata alla messa di mezzogiorno, a costo di far bestemmiare quell’orso di suo marito.
Il suo Riccardo, come lo chiamava lei con ostentata deferenza, ritornando dalla caccia, voleva, infatti, trovare la tavola apparecchiata, il risotto giallo belle che pronto e il lesso fumante sulla stufa.
No, avvicinandosi un po’ di più le parve che la frase avesse un altro significato.
Si scorgevano chiaramente la
V maiuscola e una P che poteva anche essere una F. Vergini fresche?
 Ma che gli sarà saltato in mente al curato?
Era forse ammattito improvvisamente durante la notte?
O forse aveva riservato quella messa alle figlie di Maria.
In quanto alla verginità delle figlie di Maria, però, la Matilde nutriva ragionevoli dubbi.
Sotto il bianco velo, indossato durante le processioni, altro che santerelle!
Te le raccomando!
Le veniva in mente, chissà perché, la scanzonata preghiera che i più maligni attribuivano alle chiacchierate figlie di Maria:
O Maria concepita senza peccato, facci peccare senza concepire!
 Allontanò comunque l’ingombrante pensiero come si scacciano le zanzare in un’umida giornata d’agosto.
Ma poi, con un’altra strizzatina d’occhi, si sforzò di interpretare quel dannato rebus.
 La Gilda le trotterellava accanto, testimone inconsapevole dell’enigmatico rompicapo.
Di quando in quando strattonava l’amica e pretendeva, impaziente che non era altro, una plausibile spiegazione: «Perché ti sei fermata, cosa sta succedendo ora?»
 Nondimeno doveva pur avere un senso la frase.
 Ah, sì, forse voleva dire
Verdure fresche.
 Ma non era giorno di mercato, e poi quando mai i venditori ambulanti avrebbero osato tanto?
 Le bancarelle del mercato del giovedì, è vero, si disponevano a raggiera intorno alla piazza, dietro l’abside esterna, ma nessuno avrebbe mai avuto l’ardire di reclamizzare i propri prodotti appendendo un cartello sulla porta della chiesa, la domenica per di più.
Figuriamoci il curato: avrebbe fatto fuoco e fiamme e glielo avrebbe strappato con le sue mani senza tanti riguardi.
A meno che si trattasse di una vendita di fiori o di ortaggi a scopo benefico, per le missioni, per la Caritas o per il restauro del campanile o per qualche altra diavoleria.
Pret e pöll, je mai satöll (preti e polli non sono mai sazi).
La Matilde li conosceva bene i proverbi dei vecchi, anche se i giovani ripetevano beffardamente:
I pruerbi di vìcc, je bon de fa cavìcc (I proverbi dei vecchi sono buoni per fare cavicchi: legni di poco conto, appuntiti a guisa di chiodi di cui ci si serve per fare dei buchi in terra allo scopo di piantarvi cavoli, insalata, ecc.).
Ma poi perché vendere verdure? In paese, più o meno, in quella stagione, negli orti tutti avevano verdure a volontà.
 Chi le avrebbe comperate?
 No, no, non poteva essere.
Con estrema circospezione, quasi strisciando come una lucertola, la Matilde si avvicinò alla porta della chiesa.
Non avrebbe voluto che qualcuno la scorgesse.
Gli altri certamente sapevano che cosa c’era scritto.
Lei sarebbe passata per la solita distratta, per quella che se ne fregava delle iniziative della parrocchia, tutta intenta a pensare come accasare l’unica figlia e a trovarle un buon partito.
 Non che le altre madri fossero da meno, ma non lo davano a vedere, anche se poi andavano ad accendere lumi a S. Antonio, protettor del matrimonio.
 Ormai pochi passi la separavano dalla meta.
Si guardò attorno, si assicurò che nessuno la seguisse, all’infuori della povera Gilda e poi, col cuore che le trepidava in seno, lesse finalmente: VERNICE FRESCA
!

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