STORIA DI JACOPO

 

Serata plumbea e piovigginosa, una di quelle in cui ti senti strappare l’anima dal di dentro, oppresso da una malinconia mortale.
Nella penombra appena illuminata dai fari del suo camion, Jacopo scorse all’improvviso una sagoma indistinta: gesticolava animatamente.
 Cosa poteva essere accaduto? Un incidente, una disgrazia? Rallentò, guardò meglio con aria circospetta, poi, finalmente, scorse, sul ciglio della strada, una donna.
 Indossava un semplice vestito grigio ed era bagnata fradicia.
Jacopo non ebbe il coraggio di passare oltre, non lo sfiorò neppure lontanamente il dubbio che potesse essere il solito trucco per derubarlo.
Del resto che cosa avrebbe potuto pretendere da lui che se ne andava in giro al verde o quasi, con poche lire in tasca, quel poco che gli bastava per il suo pasto quotidiano?
 Si fermò, aprì la portiera e la fece salire.
 Dov’era diretta? Doveva scendere a Mesenzana.
Lavorava al calzaturificio di Varese e quella sera, uscita in ritardo, aveva perso il pullman.
Aveva inutilmente cercato qualcuno che le desse un passaggio, ma tutti l’avevano scambiata per un’avventuriera in cerca di facili prede.
 Parlava in modo concitato: voleva giustificarsi per la richiesta di autostop? Forse. Almeno Jacopo ne era convinto.
Ma perché avventurarsi lungo la solitaria strada della Valganna, incurante del freddo autunnale e della pioggia.?
Non avrebbe potuto fermarsi in città?
 Tremava come una foglia e Jacopo, mosso a compassione, le offrì il suo impermeabile.
 Non doveva preoccuparsi: nei giorni successivi sarebbe passato lui da casa sua per riprenderselo.
 Parlarono del più e del meno, ma lei, volgendo distrattamente il viso verso il finestrino disse quasi sottovoce: «Brutta faccenda questa mattina!»
Fu come se Jacopo avesse ricevuto un pugno nello stomaco.
 Che ne sapeva lei di quello che gli era capitato quella mattina?
Ora la donna lo guardava fissamente negli occhi.
Jacopo aveva la netta sensazione che gli leggesse in fondo all’anima. In quel momento si sentiva come un bambino reticente di fronte alla mamma dopo una marachella. 
 Sì, non sapeva perché, ma gliel’avrebbe raccontato.
Era stata una brusca frenata, il terreno era viscido per la pioggia battente e una nebbiolina a banchi giocando a rimpiattino era calata all’improvviso sulla strada.
 «Ma non ti ha impedito di vedere il cartello!».
«Quale cartello?»
 rispose Jacopo aggrottando le sopracciglia sapendo di mentire spudoratamente anche a se stesso.
Un brivido lo percorse dalla testa ai piedi: quelle parole «ATTENZIONE SCUOLA» si accendevano a tratti nella sua mente come un flashback ossessivo.
 Chi mai poteva averla informata?
 Chi le avrebbe riferito di quella terribile disavventura?
Una brusca frenata sull’asfalto, un botto ed un’esile figura cascata pesantemente sul selciato.
Il sangue gli si era raggelato nelle vene.
Istintivamente aveva chiuso gli occhi per non vedere: un istante lungo un’eternità.
 Sapeva che quando li avrebbe riaperti, uno spettacolo raccapricciante lo avrebbe inchiodato alle sue responsabilità.
In mezzo ad un accorrere di gente qua e là, con la vista ancora annebbiata, aveva scorto la bimba.
 Era desto o stava sognando?
Si era mossa, si era guardata attorno, poi si era faticosamente rialzata.
Sembrava che una mano invisibile avesse bloccato il camion a due dita dal suo corpo.
 «Disgraziato, incosciente, pirata della strada, delinquente, figlio di puttana!»
Una sequela di improperi lo aveva travolto come una fitta grandinata, durante un temporale estivo, quando era sceso dal camion.
 Lì vicino c’era la scuola.
Col cuore che gli batteva forte forte, aveva cercato di giustificarsi.
 Buon per lui se era riuscito a sottrarsi al linciaggio.
Avvertiva con fastidio nelle narici un odore acre di copertoni bruciati.
Poi si era faticosamente fatto largo tra la folla per risalire a bordo del suo mezzo.
 Inaspettatamente però un intenso profumo di mughetto lo aveva avvolto come se una presenza misteriosa fosse stata al suo fianco.
  L’immagine di quella bambina si era impressa a caratteri indelebili nella sua mente per tutta la giornata.
Un angelo l’aveva certamente sottratta a sicura morte.
Pausa pranzo, come al solito con i camionisti di turno al Ristorante Belvedere, sulla tangenziale di Torino.
Ambiente fumoso, voci indistinte.
 Aveva mangiato controvoglia.
 Un caffè corretto con fernet, e quattro passi all’aria fresca l’avrebbero rimesso in sesto.
 Niente da fare. Quel maledetto peso allo stomaco continuava ad opprimerlo.
 L’immagine della bimba gli si parava sempre dinanzi, come una fantasma.
 Come liberarsi da quell’incubo?
 Aveva acceso la radio: i soliti annunci commerciali, conditi di musiche fracassone.
 Anche quello lo infastidiva.
 Poi era entrato nel magazzino della RAITER, aveva scaricato trenta bancali di vernice e finalmente aveva ripreso la via del ritorno.
 Ecco ora doveva scacciare la noia, cercare tra i pensieri quello che lo potesse rincuorare.
Non c’era verso.
 Quante volte aveva temuto per la sua vita: un colpo di sonno, una possibile deriva in autostrada dopo le levatacce mattutine.
E quel senso di torpore che non riusciva a scrollarsi di dosso per tutta la giornata!
 Si domandava spesso che senso avesse la sua esistenza raminga, la solitudine che lo attanagliava, la perenne lontananza dalla sua famiglia, i pochi attimi di intimità domestica, contrassegnati da una stanchezza senza rimedio.
Avrebbe desiderato tanto condividere le gioie dei figli, accompagnarli fin sull’uscio della scuola come gli altri genitori, non costretti ai suoi serrati ritmi di lavoro.
Era giunto così alla soglia dei cinquant’anni: età di bilanci, sospesa tra la voglia di spendere le residue energie e l’amara consapevolezza dei propri fallimenti, in rapporto alle alate speranze nutrite in gioventù.
Il miraggio della pensione?
Non lo allettava più di tanto.
Avvertiva fra sé ed i figli, ormai cresciuti, una specie di frattura, un muro di insanabile incomunicabilità.
Neppure sua moglie era riuscita ad abbatterlo.
E non si poteva dire che non gli volesse bene.
 Tutto sommato però avrebbe voluto continuare quella sua vita da nomade della strada, senza aspettative per il suo domani.
 Già il suo domani.
Che ne sarebbe stato di lui, delle sue fatiche, dei suoi desideri non realizzati?
 Sarebbe precipitato nel baratro di un nulla che lo avrebbe inghiottito o avrebbe trovato finalmente pace in una terra promessa?
Talvolta affioravano nella penombra della sua coscienza i sogni di una fede infantile, ormai sepolta nei ricordi di un lontano passato.
 Immerso in questi cupi pensieri, aveva anche quella sera imboccato la strada della Valganna.
Non vedeva l’ora di poter tornare a casa, ingoiare voracemente la solita minestra calda e bersi un buon bicchier di vino, abituale viatico per un sonno pesante e senza sogni.
Poi, all’improvviso, era apparsa lei, Giusi.
Non aveva potuto mentire a quella donna così diversa dalle altre, ma, nel contempo, così seducente.
 Le sue parole erano scontate, quasi un eco di quello che Jacopo avrebbe voluto sentirsi dire.
Era la prima volta che qualcuno penetrava nel profondo della sua anima.
Giusi sembrava, infatti, anticipare le risposte ai suoi interrogativi.
Un sorriso radioso il suo, una voce suadente e carezzevole come se appartenesse ad un’altra dimensione.
 Da dove era spuntata?
 Per lei Jacopo era come un libro aperto.
 Ne sfogliava una dopo l’altra le pagine e nella sua storia personale vi leggeva una trama fino a quel momento a lui sconosciuta. 
 Ma sì, bando ai pregiudizi che lo avevano tenuto legato, nonostante tutto, alla sua famiglia: quella donna lo intrigava.
No, non era una questione di sesso.
Se avesse voluto ne avrebbe trovato quante ne voleva ai margini delle strade, in quel suo perenne girovagare!
Jacopo fantasticava solo un possibile legame di amicizia con quella donna, venuta da chissà dove.
 Un’avventura sentimentale tutto sommato avrebbe dato uno scossone alla sua vita sempre uguale.
Ora era tornato insistente il profumo di mughetto.
Non era riuscito a scrollarselo di dosso, pensava.
Giunti a Mesenzana, Giusi lo salutò con una stretta di mano e lo ringraziò per la sua disponibilità.
Gli lasciò comunque l’indirizzo di casa dove avrebbe potuto riprendersi l’impermeabile.
La domenica successiva, a metà mattinata, Jacopo, impaziente di rivederla, si recò all’indirizzo indicatogli.
Salì lungo una viuzza, nel cuore del vecchio borgo e trovò finalmente il numero civico annotato sul foglietto.
 Bussò e attese.
 La porta si aprì.
Jacopo si trovò di fronte un’anziana donna: sul suo volto i segni di un malcelato dolore.
 «Abita qui Giusi Parietti?» chiese ansioso.
«Abitava qui, – rispose tristemente la vecchia- purtroppo, da due anni, riposa al cimitero, strappataci da un male incurabile»
 «Non è possibile – interloquì Jacopo, più attonito che meravigliato – le ho dato io un passaggio due giorni fa sul mio camion, venendo da Varese e le ho prestato il mio impermeabile!».
La donna lo guardò stralunata: uno scherzo di cattivo gusto, quell’uomo voleva certamente prendersi gioco di lei!
Jacopo allora le narrò la vicenda per filo e per segno, raccontandole i particolari del fortuito incontro.
Non poteva essersi sbagliato: Giusi aveva descritto in modo così preciso e circostanziato la casa e le informazioni sul suo lavoro e sulla sua famiglia costituivano un riscontro inoppugnabile.
 Si trattava forse della solita meschina truffa organizzata, di una commedia in piena regola di cui la vecchia si era resa complice e interprete.
 La donna, a sua volta, comprese il suo disappunto.
 Indossò uno scialle, prese un bastone: «Venga con me» disse e si diresse verso il cimitero.
 Ansava e barcollava sulle sue gambe malferme.
 Si fermò un istante appoggiandosi al muro.
 Lo guardò ancora una volta, perplessa e smarrita.
Se ne sarebbe reso conto di persona che lei non aveva mentito.
A passi lenti e cadenzati, scanditi dal fruscio delle foglie sotto i loro piedi, raggiunsero il piccolo camposanto dietro la chiesa.
 Si avvicinarono alla tomba.
Una lapide bianca, una croce, un vaso di mughetti profumati e la foto sorridente di Giusi.
 Steso sulla lastra marmorea, c’era però il suo impermeabile.
 I due rimasero per un breve istante senza parlare, gli occhi della madre si riempirono di lacrime e Jacopo, in preda ad un’emozione folgorante, si chiuse in un mutismo impenetrabile.
Non ebbe neppure il coraggio di avvicinarsi alla donna, si girò di scatto e se ne andò.
Gli sembrava di volare.
Giù per l’erta salita aveva però ritrovato, insieme a Giusi, la fiducia in se stesso e la speranza.
Le sue fatiche, la sua vita grama e raminga erano state inaspettatamente illuminate da un raggio di luce che non si sarebbe mai più ottenebrato.

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