La beffa dei Runesi

LA BEFFA  

 

La dabbenaggine, chissà perché, era troppo spesso attribuita a quelli di Curiglia, fragili bersagli di lazzi canzonatori, in agguato ad ogni piè sospinto, appena se ne presentava l’occasione.
E una ghiotta occasione fu appunto quella imbastita dal solito clan dei bontemponi di Runo che, vivaddio, andavano sostenendo che il loro campanile, nottetempo, cresceva, sì cresceva come un fungo tra i boschi.
Si trattava, è vero, di un campanile speciale, una costruzione in pietra che in tempi recenti un curato, esperto di cose antiche, scoprì essere stata una torre d’avvistamento romana.
Una lapide lo ricorda superbamente ai passanti, ultima testimonianza di una baldanza d’altri tempi che aveva identificato nel campanile l’emblema del proprio orgoglio villico.
I soliti creduloni di Curiglia avevano ascoltato la nuova panzana con attonita attenzione, lusingati di essere i primi depositari di un così arcano segreto.
Non mancò però un naturale sussulto di incredulità: «Come era possibile dimostrare un tale prodigio?».

Lo scherzo

 «Semplice – risposero gli scaltri runesi – basta rivestire il campanile di stoffa dalla sommità fino ai piedi ed il miracolo sarà lampante, come due più due fanno quattro».
Fu così che, raccolto un gruzzolo di monete d’oro tra amici e conoscenti, quelli di Curiglia decisero di mettere alla prova i detestati giovinastri.
 Nel caso in cui non si fosse verificato il prodigio, infatti, quelli di Runo avrebbero dovuto pagare di tasca loro un pegno precedentemente pattuito.
Avvolto da un manto scarlatto, tessuto nelle lunghe sere d’inverno coi telai a mano, il campanile, nel pallore del crepuscolo, sembrava un gigantesco guerriero bardato per una singolar tenzone.
Il silenzio di quella notte, in riva al Colmegnino che scorre in fondo alla valle, fu rotto soltanto dal chiacchiericcio divertito di un manipolo di furfanti scanzonati.

Il trucco

Armati di forbici e di scale, in men che non si dica, s’arrampicarono su su sulla vecchia torre come gatti sornioni ed incominciarono a tagliare a più non posso l’insolito abito col quale i curigliesi l’avevano rivestita.
Scesero di gran lena quest’ultimi la mattina dopo per verificare di persona l’atteso e temuto prodigio e, oh, meraviglia, il campanile era davvero cresciuto.
La sua veste s’era accorciata, proprio come avevano predetto i runesi.
I quali, nel frattempo, coi soldi della tela rivenduta al mercato di Luino, s’erano imboscati in una fumosa bettola a bere ed a gozzovigliare per godersi il frutto della loro impietosa beffa.

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