Madame Pomadur
La chiamavano «Madame Pompadour»: aspetto matronale, portamento altero, grandi occhi, quasi bovini e una pettinatura a cavolfiore, raccolta sulla nuca.
Sempre in prima fila ai party della noblesse cittadina, avvolta in uno scialle ridondante e con abiti svolazzanti da nobildonna d’altri tempi, sembrava uscita da un quadro di François Boucher.
Della nobiltà della favorita di Luigi XV, comunque, neppure l’ombra.
Teresa, per gli amici snob Terry, esibiva un petto prorompente, ingioiellato oltre ogni ragionevole buongusto, per attirare gli sguardi indiscreti degli uomini, come sussurravano malignamente le amiche invidiose, soprattutto dopo che era rimasta vedova inconsolabile.
Superati da poco i quarant’anni, come diceva lei, o avviata verso i cinquanta, come attestava la sua carta di identità, si dava un gran da fare per accalappiare un uomo che entrasse nel suo letto, rimasto irrimediabilmente deserto.
Meglio se fosse stato un intellettuale, ma si sarebbe accontentata anche di meno, purché fosse un buon maschio, virilmente appetibile.L’occasione ghiotta le si presentò il 19 settembre di quell’anno.
Segretaria della giuria per il premio letterario «Giovanni Pascoli», laggiù in fondo, tra i concorrenti, scorse il prof. Adalberto Fantolini.
Uomo distinto, con una barbetta rossiccia, occhiali demodé da intellettuale, viso sornione, s’era fatto subito notare per la sua galanteria.
Un invito a nozze per Madame Pompadour e, impaziente com’era, di nozze avrebbe voluto subito parlare con la sua vittima designata.
«Professore, che portento il suo saggio critico! – non l’aveva neppure letto – Mi adopererò, con tutta la mia autorevolezza, perché la giuria lo prenda in debita considerazione!»
Così dicendo Madame si fece incontro all’interlocutore con passo felino e con movenze da gattona smaliziata, per abbordare la sua preda.
«Mi lusinga, signora, io non sono che un modesto insegnante, con la passione della poesia nel sangue e niente più».
«Mi chiami pure Terry, professore, ma lei, oltre all’insegnamento, avrà pure la gioia di un nido familiare, che a me il destino ingrato ha invece distrutto prematuramente?».
«Anch’io per ora vivo solo, mia cara Terry, ma – proseguì, non senza qualche allusione ammiccante – spero che il futuro mi riservi miglior sorte».
Era un invito?
Così lo intese Madame, che non indugiò oltre.
«Potremmo uscire a pranzo insieme, professore, se non le dispiace, naturalmente per approfondire le tematiche del suo saggio, nevvero?»
«Ma certo signora, quando vorrà».
Madame Pompadour incominciò ad affilare le armi per quell’inaspettata tenzone d’amore.
Detto fatto, il giorno successivo, i due colombi si diedero appuntamento nel ristorante più in della città e vi si inoltrarono quasi furtivamente con l’aria di due adolescenti in libera uscita.
Madame, seduta davanti ad una tavola imbandita di ogni ben di Dio, si ingozzava con una voracità, pari alla voglia di saziare quel vuoto abissale che avvertiva in corpo, da quando la buon’anima di suo marito se n’era andata.
Il bolo le gonfiava le gote, ora da un lato ora dall’altro, mentre le parole le fuoriuscivano a raffica, disarticolate e stentoree.
Un invito tira l’altro e Terry si era fatta via via sempre più intraprendente.
«Sarei lusingata, Adalberto, se la prossima volta volesse onorarmi della sua presenza nella mia modesta casa, per una cenetta in allegria».
«Forse sarebbe meglio a pranzo.
Io abito ad Omegna e il rientro mi sarebbe alquanto difficile a notte inoltrata». «Vada per il pranzo, mon cher ami: a domenica, dunque!»
Gli incontri si intensificavano di settimana in settimana, giorno dopo giorno.
Ogni occasione era buona per trascinare il professor Fantolini in iniziative culturali di ogni genere: mostre, conferenze, dibattiti.
Tutte le conoscenze di Madame erano state messe a frutto.
Lo aveva presentato anche ad un suo vecchio amico d’infanzia, il professor Elio Marsi, direttore del Centro Studi Manzoniani.
Al di là del dichiarato apprezzamento per le squisite pietanze imbandite, Fantolini però non dava alcun segno di volersi sentimentalmente compromettere.
Aveva paura?
Cercava solo un’avventura galante?
Non gli piacevano le donne?
Madame ne era convinta.
Con una fiducia incrollabile nel suo irresistibile sex appeal, era giunta all’amara conclusione: Fantolini era un misogino incallito o, peggio ancora…
Si era rivolta ad amici e conoscenti ai quali aveva fatto conoscere l’illustre ricercatore per carpire qualche segreto forse piccante sulla sua vita privata, ma inutilmente.
Buio pesto.
Nessuno era in grado di fornirle informazioni credibili.
Le sembrava strano che, dopo tante ghiotte occasioni, Adalberto non mostrasse alcun interesse per la donna che gli stava accanto?
Qualche amica mossa a pietàLe suggerì di aver pazienza.
Forse si trattava solo di una timidezza transitoria e nulla più: un giorno o l’altro si sarebbe sciolto come neve al sole.
Madame chiudeva gli occhi con fare annoiato e forse un po’ incredulo, con un lungo sospiro, quasi a voler dire: «Non me ne va dritta una!».
Vincitore indiscusso del concorso, grazie ai buoni uffici di Terry, Fantolini, pochi giorni dopo, fece perdere le sue tracce.
Ma chi era in realtà Adalberto?
Nessuno lo sapeva con precisione.
Era comparso così, all’improvviso, come un alieno, venuto da lontano.
Terry si lambiccava il cervello e non voleva rassegnarsi a quell’imprevedibile scomparsa, più simile ad una fuga a gambe levate, che ad una dignitosa uscita di scena.
«Ingrato, approfittatore, fedifrago!».
Madame Pompadour misurava a passi concitati la casa come se fosse stata morsa da una tarantola.
Perché si era eclissato così repentinamente senza dare notizie di sé?
Forse si vergognava della sua misoginia e non voleva confessarla apertamente?
Erano trascorse ormai alcune settimane, ma il telefono era rimasto ostinatamente muto. Poi improvvisamente un altro pensiero, più insidioso del primo: «E se avesse subito un incidente, se fosse ammalato, se…mio Dio, gli fosse capitato qualcosa di molto grave?» Ma come raggiungerlo, se non le aveva lasciato neppure un recapito telefonico?
Che fare?
Sapeva solo che abitava ad Omegna.
In qualche modo, consultando una guida, sarebbe pur riuscita a contattarlo.
Si decise infine.
Sì, era proprio lui, il nome e il cognome non lasciavano dubbi: era l’unico che si chiamasse Fantolini.
Compose il numero e attese, una lunga angosciante attesa.
«Pronto, casa Fantolini?»
Rispose strascicata una voce femminile dall’altro capo.
«Sono Terry, un’amica di Adalberto, non c’è il professore?»
«Mi dispiace, signora, è uscito per delle commissioni urgenti, rientrerà prima di mezzogiorno»
«Va bene, la ringrazio.
Suppongo che lei sia la donna delle pulizie, nevvero?
Ebbene gli lasci un messaggio, anche domani s’intende, insomma quando lo vedrà.
Gli dica che ho telefonato e che sono preoccupata per questo lungo silenzio».
«Non ce n’è bisogno, signora: lo vedrò sicuramente a pranzo, quest’oggi.
Per quanto mi riguarda, non sono la donna delle pulizie, sono la moglie.
Adalberto non si è fatto vivo perché siamo rientrati da pochi giorni dal nostro viaggio di nozze».
Madame si sentì mancare la terra sotto i piedi: le sembrava che il mondo girasse sottosopra, la vista le si annebbiò, vacillò, lasciò cadere la cornetta e si accasciò a terra senza un lamento.