Miracolo delle castagne

Una lunga processione di rosarianti si inerpicava arrancando lungo i tortuosi sentieri della montagna, come capre al pascolo.
Sostava di tanto in tanto dinanzi ai tabernacoli sparsi qua e là sugli alpeggi, simili ad altrettanti parafulmini costruiti per scongiurare l’ira divina.
>Pestilenze e malanni di ogni genere colpivano periodicamente il bestiame senza risparmiare uomini, donne, ma soprattutto bambini.
Vita grama era quella dei montanari, alle prese con una terra avara, che offriva modesti raccolti sui quali spesso si abbattevano grandine e brine precoci.
Quell’annata però era stata straordinariamente fortunata. Una fioritura incontrastata dei castagni, già da maggio inoltrato, era stata il promettente preannuncio di un autunno fecondo: «Fior a Magg, castégn a ras, fior a giugn, castégn a pugn».
(Fiori a maggio castagne a gerle, fiori a giugno, di castagne un pugno).
Le castagne di montagna, solitamente piccole, ma saporite, quell’autunno erano grosse e tozze come marroni.
Fu così che un bel giorno, quelli di Curiglia, per lo sfizio di sentirsi anche loro un po’ eccentrici, si presentarono in canonica: «Signor curato, quest’anno le castagne sono proprio spropositate, non passano neppure dalla bocca!».
Da uomo scaltro qual era, il curato, trattenendo a stento un moto di ilarità, con la miglior naturalezza di questo mondo rispose: «Figlioli, qui ci vuole un miracolo!
Domattina vi aspetto tutti di buonora, al suono dell’Ave Maria, sul sagrato della chiesa, ma, badate bene, digiuni dalla mezzanotte e senza neppure una crosta di pane in tasca.
Partiremo in processione per una rogazione straordinaria su, su fino all’Alpone e torneremo dai pascoli di Monteviasco».
Chiamato in disparte il sacrestano, l’accorto curato lo istruì sul da farsi: «Croce e cilostri in prima fila, stendardo della Madonna della Serta portato dalle donne, acqua santa a volontà, ma – e qui la voce assunse un tono grave e misterioso – non dimenticare di mettere in un cesto un bel pollo arrosto, pane, formaggini di capra, pillole di gallina e decotto di cantina».
E così, tra una litania e l’altra, tra un Pater e un’Ave, curato e sacrista, opportunamente discosti dal corteo processionale, ad ogni tornante, con la scusa di un’aspersione straordinaria in solitudine, si saziarono di tutto quel ben di Dio che si erano portati appresso.

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