Storia di Colmegna

‘Storia di Colmegna


Introduzione tratta dal libro di Anna Pedroli Piazza e Emilio Rossi

Adagiata in una verde insenatura, Colmegna appare come una perla incastonata tra due promontori che da nord e da sud la proteggono dall’ingiuria dei venti.
Dalla riva del lago il suo territorio si espande come un gigantesco anfiteatro verso la montagna soprastante, raggiungendo i confini del limitrofo comune di Agra.
Negli anni ’50, i villeggianti milanesi che non potevano per mettersi il lusso di una vacanza in riviera la definirono la Piccola S. Remo del Lago Maggiore.
Lo annunciava puntualmente a gran voce il Giuan Bologna all’arrivo della corriera, guidata dal Miglio Evangelisti.
Fu così che un’anziana signora, diretta per la prima volta a Colmegna per trascorrervi un breve periodo di riposo, tratta in inganno dalla bravata di quel bontempone, si ritrovò al capolinea di Maccagno.
Indignata per l’accaduto, poco ci mancò che non chiedesse all’ignaro autista il rimborso dei soldi per il taxi che la riportò a destinazione.
Ai più il paese è noto per la proverbiale nomea dei suoi ratto Ratt de Culmegna era lo spregiativo epiteto ricorrente nel vernacolo milanese.
E attorno ai ratt fiorirono amene storie di cui faremo memo ria in questo libro. La caratteristica più saliente del paese sta nella tenacia indomita dei suoi abitanti: gente temprata dalle fatiche, perfetti giramondo, abituati al contatto con un’ umanità multiforme e variopinta.
Da qui deriva quell’inquietudine mai doma che ne fece dei contestatori ad oltranza.
Forse per questo motivo, in meno di cent’ anni, Colmegna fu territorio di tre diversi comuni.
Attraversando le antiche strade e gli aprichi sentieri che si snodano sassosi nella verde conca sulla quale il paese si adagia, si riscoprono le tracce di una indomita operosità.
Una terra avara, percossa senza sosta dalle marre e dal vomere, per strapparle una fecondità tardiva e placare la fame di un volgo abituato a convivere con una povertà endemica.
Eppure Colmegna seppe nei secoli conservare intatto il senso della propria identità.
Per ragioni geografiche? Forse, ma soprattutto per quel suo cipiglio contadino e cosmopolita a un tempo, proteso a coniugare la ristrettezza del proprio territorio con la vastità dell’ immaginario, alimentato dai racconti dei propri emigranti sparsi per ogni dove.
Che cosa è rimasto dell’antica fierezza? Pallidi riverberi.
Ancor oggi la frazione soffre di un’atavica situazione di abbandono: ma la Bella Addormentata, come taluni la definiscono, è convinta, e non a torto, di poter divenire la regina della sponda magra.
Ci auguriamo che questa pubblicazione possa portare nuova linfa alla radici del passato, perché il futuro possa aprirsi alla speranza di un rinnovato impegno da parte di tutti i Colmegnesi per un avvenire migliore. Allora, forse, la Bella Addormentata potrà finalmente risvegliarsi dal suo lungo torpore

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